La domanda che sempre più spesso mi pongo utilizzando i socialcosi è: “ma sono proprio questi gli strumenti di cui abbiamo bisogno?”.
Si insinua spesso il pensiero che forse siamo noi al servizio dei socialcosi piuttosto che il contrario.
Vedo un ambiente social come una estensione ed un potenziamento delle nostre capacità di relazione e di interazione con le persone che fanno parte della nostra sfera sociale. Un ambiente social che permetta di intrattenere rapporti più stretti con le persone che ci sono più vicine ma anche relazioni, anche solo “informative”, con persone che magari non conosciamo direttamente ma che riteniamo interessanti e di cui condividiamo idee ed azioni.
Facebook è l’ambiente social per eccellenza in quanto ci ha abituato alla condivisione anche se di un tipo un po’ artificiale: con il tempo ci siamo adeguati alle sue regole pensando sempre meno a come, a cosa e con chi avremmo condiviso la nostra quotidianità. A ciò non hanno certo agevolato le labirintiche opzioni e personalizzazioni che Facebook ha cambiato nel tempo con uno scopo sottinteso ma principale: certo rendere l’ambiente più gradevole per i suoi frequentatori ma soprattutto rendere il tutto il più “vendibile” possibile.
La diffusione degli smartphone ha inserito un elemento molto interessante in quanto è un oggetto personale, l’estensione tecnologica che ci è più prossima e, attualmente, quella verso cui abbiamo l’approccio più naturale (l’abitudine consolidata all'”oggetto telefono” ed alle sue funzioni di comunicazione).
Le applicazioni con la propensione social hanno puntato direttamente ad un livello più intimo e strettamente legato al momento vissuto; quindi il luogo dove siamo, l’immagine creativa del posto.
Di certo elementi che si raccordano meglio a quel livello di istintività ed immediatezza a cui sono più legati molti momenti della nostra giornata.
Anche in questo caso però occorre far cassa e quindi, a corollario della funzione principale dell’app, ecco tutte le meccaniche familiari al re dei social network.
Ma per quanto tempo ancora avremo ancora voglia di saltare da un’app all’altra per condividere una informazione, che in realtà è strettamente collegata ad altre, o di dover collegare insieme app finendo magari per far arrivare una certa informazione anche nel posto sbagliato?
Ho trovato in Path un primo piccolo passo verso una direzione più vicina ad un comportamento umano piuttosto che vicina ad un ragionamento sui comportamenti delle persone: l’idea di una reale cerchia di amicizie, attraverso una gradevole interfaccia, su uno strumento che ho sempre con me.
Mi ricorda quello che ho già scritto altre volte e che penso fermamente: ciò di cui abbiamo realmente bisogno non sono una serie di social network (web e/o app) ma un ambiente, uno strato, dove trovare determinate funzionalità che possano evolversi ed arricchirsi permettendoci di usarle esattamente come quando prendiamo il telefono e facciamo una telefonata o mandiamo un sms (di fatto una delle mire di Facebook…).
Il discorso è aperto perchè in evoluzione con le tecnologie su cui le varie funzionalità si appoggiano.
Periodicamente arriva un nuovo social network che in realtà non fa altro che aggiungere un modo più pratico o intelligente di fare una cosa che in parte era fattibile anche con i social precedenti ma, nel nuovo caso, diventa il fulcro del nuovo ambiente (Pinterest ad esempio).
Sempre più spesso mi viene da pensare che gli entusiasmi per i nuovi nati siano più che altro degli addetti ai lavori piuttosto che degli utilizzatori.