Tiberio Zucchini ha fotografato il mio atelier.
Quando mi ha mostrato le foto ho pensato: io lavoro in un luogo misero, se fosse un luogo dell’anima dovrei esserne turbato.
In effetti ho poche ore di luce naturale (scende dal lucernario) e in inverno fa freddo; i muri producono continuamente polvere e si sono aperte alcune crepe, niente di pericoloso.
Non è un posto dove invitare gli amici.
Lavorare qua dentro non mi infastidisce.
Il mio atelier assomiglia ad una zattera e disegnare e scrivere da qua dentro mi ricorda di non possedere terre o case, ma di essere dentro ad una lingua, quando va bene di essere dentro ad un linguaggio, quando va molto bene di essere parte di una conversazione.
Per ora non voglio altro.