Non sono mai stato un frequentatore di bar.
Per frequentazione intendo quel considerare un determinato bar come punto di riferimento non solo per le canoniche consumazioni giornaliere, tipo la colazione o il caffè, ma anche come luogo di incontro e di convivialità.
Sono sempre rimasto affascinato dall’abilità dei baristi, quelli bravi ovviamente, di avere sempre la frase giusta per ogni avventore noto, di ricordarsi i nomi dei clienti, di ricordarsi le loro richieste usuali, comprensive anche delle possibili opzioni, elencate con moderata intimità.
E ho sempre assaporato con piacere questa atmosfera di momentanea vicinanza che si crea tra il barista ed i clienti che si sentono a loro agio magari per un frammento di una giornata complicata. Atmosfera che coinvolge di riflesso anche gli altri clienti, magari solo per il limitato momento del caffè, che il barista sa bene, se desiderato in vetro piuttosto che macchiato.
Nonostante non sia un frequentatore di bar, quando per determinati impegni sono costretto a fare colazione fuori casa, mi fermo sempre nello stesso bar e davanti al mio cappuccino osservo e ascolto l’abilità del barista nel trasformare l’acquisto di una bevanda in un momento di relax, in un abbraccio garbato, in uno spazio costruito su misura.
Questo è uno dei motivi per cui nutro molti dubbi sull'”accanimento terapeutico” dei vari social in auge per farci riversare più informazioni possibili nei loro serbatoi o per farci inciampare in sospetti consigli che arrivano dai nostri “amici”.
La sensazione è quella che i social stiano creando delle vere e proprie scorciatoie per agevolare le aziende nel non dover realmente cambiare l’approccio verso il loro pubblico, costruendo delle specie di luna park nei quali le persone possano essere attratte da nuove funzionalità. Una strada più sicura per le aziende per comunicare come hanno sempre fatto ma in modo più mirato e meno dispersivo, magari il tutto condito da qualche escamotage partecipativo.
La sto vedendo troppo torbida? Probabile.
Rimane il fatto che la maggioranza delle persone non è poi così ammaliata dai frequenti cambiamenti che vengono apportati alle piattaforme social; dopotutto l’avvicinamento a questi spazi di una gran mole di persone è avvenuto anche per una facilitazione nell’uso di determinate funzionalità di contatto e “l’accanimento” di cui sopra determina sempre più spesso lamentele e disagi. Le novità attirano di più i cosiddetti geek/smanettoni, i numeri sono altrove.
Frequentiamo posti con cui abbiamo affinità, affidiamo confidenze ed informazioni in modo dosato e a chi sentiamo vicino per una serie di motivi di sintonia che spesso si crea nel momento della presenza.
A parte l’effetto novità del primo periodo dei social, la condivisione non è una esigenza ma un momento di costruzione di un legame altrimenti è esibizionismo, e annoia velocemente, rimanendo strumento solo di chi esibizionista lo è realmente.
Detto ciò credo che, nonostante gli artifici che potranno essere creati, continueremo ad andare nel bar che si è guadagnato la nostra fiducia e simpatia e rimarremo sempre sufficientemente impermeabili ad interlocutori poco trasparenti (in particolare quelli ammiccanti e prodighi di pacche sulle spalle).