A gennaio è uscito “Not to Dissapear”, secondo disco della band inglese Daughter, seguito del fortunato “If You Leave”.
Va subito chiarito che la proposta musicale della band è rimasta decisamente invariata.
Morbide melodie supportate da chitarre raffinate e soprattutto da una batteria mai banale.
Forse l’elemento di novità sta proprio in qualche brano lievemente più energico e nervoso.
Ma, come nel disco d’esordio, sono i testi scritti dalla cantante Elena Tonra a dare il marchio di fabbrica alla band.
“Qualsiasi cosa è una perdita e spreco di tempo: tranne fottere di gusto o creare qualcosa di buono o guarire o correr dietro a una specie di fantasma-amore-felicità. Tanto tutti finiamo nel mondezzaio della sconfitta: chiamala morte, chiamala errore.”
Questa citazione di Charles Bukowski potrebbe già essere considerata una perfetta sintesi del disco.
Nella prima traccia “New Ways“, Elena canta: “Ho bisogno di nuovi modi per sprecare tempo. È da un po’ che provo a uscirne a trovare una discreta via d’uscita, senza cancellarmi e basta”.
Si prosegue con “Numbers“ in cui la disillusione aumenta: “Prendi le situazioni peggiori ne creano una ancora peggiore. Seguimi a casa e fingi di aver trovato qualcuno che possa rappezzarti.” Insomma, pur di non fare i conti con la realtà si preferisce convivere con la finzione. Il mondo della finzione però è una prigione, non un posto dove mettersi al riparo. Si sa, non possiamo mentire a noi stessi troppo a lungo. E infatti il pezzo finisce con una speranza quasi patetica: “Farai meglio a farmi stare meglio”.
Questo testo mi ricorda per contrasto la canzone di Bjork “Immature” in cui, una volta passata quella (falsa) speranza adolescenziale, cantava: “Come ho potuto essere così immatura? Da pensare che lui potesse rimpiazzare la parte che manca in me. Che incredibile manifestazione di pigrizia, la mia!”
Si prosegue con “Doing the Right Thing“, scelta come primo singolo per lanciare il disco.
Anche in questo caso si parla di alienazione dal resto del mondo e il video ha sottolineato questa sensazione di estraneità usando la metafora della demenza senile.
Ma questa distanza da tutto e tutti può essere una strategia di difesa infallibile: “sono calma quando mi costruisco confini attorno”. “How” ha forse il testo più canonico e immediato fatto di struggimenti per un amato assente: “Tengo in mano vecchi souvenir – Le sue parole, scritte per compleanni-. Addii alle nostre vuote rovine.”
Per vivere soli si deve essere una bestia o un dio, diceva Aristotele. E in “Alone / With You” non ci si rassegna al proprio status di single: “Odio vivere da sola, con me stessa ho solo conversazioni noiose. Non sono amica di me stessa: Il mio io è solo una conoscente”. Ma la natura umana è forse quella di essere continuamente insoddisfatti?
E infatti la canzone prosegue con l’altro (amaro) lato della medaglia: “Odio dormire con te perché non ci sei mai. C’è solo una figura ombrosa dal viso vuoto che mi caccia via da casa sua. Odio vivere con te. Dovrei prendermi un cane, o qualcosa di simile.”
Per essere liberi, basterebbe accontentarsi di essere infelici e da soli? È peggio sentirsi soli in compagnia che soli in solitudine? Domande, lo so, a cui sicuramente non si potrà mai dare una risposta definitiva.
“No Care” comincia con una descrizione meravigliosa di sè stessa in cui mi sono molto ritrovato: “Nessuno mi chiede di ballare perché so solo agitarmi. È sempre come se stessi annegando. Preferirei restare ferma, restare saldamente aggrappata al muro”. Ma nella canzone è delusa di se stessa quando si accorge di essersi innamorata di nuovo. E ovviamente è un problema. “Volevo una promessa da te: che avremmo sempre fatto solo l’amore.”
La differenza tra l’amore e il sesso, è che il sesso allevia le tensioni e l’amore le provoca. L’amore fisico, e soltanto fisico, perdona ogni infedeltà. Il sesso è la consolazione che si ha quando l’amore non basta. Il sesso è innocente, è l’amore che è disonesto.
E infatti in “To Belong” l’amore è ancora messo sotto accusa: “Non pensi staremo meglio senza essere tentati di fingere tenerezza? Non voglio appartenere a te, o a nessuno. Bambini ubriachi senza amore.”
E per ricollegarsi alla frase di Bukowski che ho citato all’inizio, il disco si chiude con una lucida ammissione di inadeguatezza: “Penso di essere fatta di pietra. Dovrei provare qualcosa di più. L’amore non è altro che dipingersi il viso. L’amore è solo rendere più leggero il nostro attendere la morte senza un compagno.”
Che altro si può dire di questo disco?
Ripetitivo? Può darsi.
Distaccato? Per niente.
Onesto? In maniera disarmante.