Egomostro, a chi?

I social network, tra le mille abitudini che hanno introdotto nelle nostre vite, hanno portato anche una nuova forma di ansia sociale.
Definita da studiosi americani FOMO (“Fear Of Missing Out”) e può essere definita la paura di essere tagliati fuori.

E questo giustifica miliardi di inutili post pubblicati sui social tutti i giorni: “… anche oggi è lunedì” con foto di faccina finto-triste, “super colazione” con foto del più classico dei cappuccini con un fiore di campo adagiato accanto, “cena con amici veri” foto di quattro disperati tra avanzi di arrosto e di cui 2 che stanno guardando il monitor del proprio telefonino.

Ma in qualche modo dobbiamo placare il terrore del silenzio, del non esserci, di sembrare meno felici degli altri ci porta a “dover” manifestare che ci siamo, ci stiamo divertendo e che la nostra vita è piena.
Anche se non è del tutto vero.

La musica per me racconta tutto meglio.
E più che parlare di “Fomo” io definerei il tutto “Egosmostro”, dal titolo del nuovo disco di Colapesce.

Questo neologismo che è alla base del concept del disco, lui l’ha definito così: “Se l’ecomostro è una brutta struttura costruita in un bel posto, l’Egomostro è una struttura brutta costruita dentro il proprio Io. Descrive il momento storico che stiamo passando, questa voglia eccessiva di approvazione. Questa sete di consenso che c’è tra la nostra generazione. Probabilmente c’è sempre stata, ma i social l’hanno amplificata”.

“Sono sempre l’ultimo a sapere le cose, è scoppiata la crisi mondiale, io ero in cucina a mangiare una mela” canta in “Maledetti Italiani”, il singolo di lancio del disco.
Ed è proprio con questo distacco che Colapesce guarda le cose e il mondo.
In una recente intervista ha detto: “I social network cerco di usarli a modo mio, senza calcare troppo la sete di like, condividendo le cose che mi interessano davvero!”.
E forse è qui la chiave di volta per non farsi prendere dalla Fomo: quel “davvero” che ci dovrebbe aiutare a limitarci nella rappresentazione delle nostre vite. Sono “davvero” felice?
O è solo una rappresentazione della felicità che serve solo a generare algoritmi?

E quindi, rilassiamoci. E ascoltiamo il consiglio di Colapesce:
“Sono sempre l’ultimo
e non mi dispiace
a che serve arrivare per tempo
se alla fine chi ha vinto ha perso lo stesso”.

Matteo Lion

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  • Date: 07 04 2015
  • Filed under: Matteo Lion, Suoni