Non è che ultimamente non abbia lavorato o che abbia deciso di passare al “fotomontaggio”, il fatto è che nell’hard disk ho troppa roba, anche immagini che dovrebbero sopravvivere solo sulla carta o addirittura non essere replicate in nessun modo; troppe immagini e queste, anche a non volerlo, si incontrano, creano connessioni, cortocircuiti. Anche banali, come queste due: una foto scattata nel 1983 ed una del 2016, come sono stato e come sono, come va di moda adesso con i personaggi del mondo dello spettacolo per dimostrare che anche le stelle sono mortali.
Il tempo che passa, il corpo che cambia, i pensieri che si evolvono, la coscienza che talvolta si illumina, le domande che si fanno sempre più fondamentali… Mi ricordo cosa pensassi in tutte e due gli scatti, e ho ricordi abbastanza precisi del tempo che è passato tra le due foto.
Ecco… Mi ricordo che il tempo del servizio militare era un tempo sospeso, un fila di giorni tutti simili in cui la cosa importante era quello che sarebbe successo dopo, importanti erano i sogni, le speranze, era un tempo di desideri e di attesa.
Adesso so come è andata, so cosa è stato deluso e cosa ha preso forma, so come si è chiuso quello stato imperfetto. Mi fa piacere notare che l’energia dell’atto di desiderare mentre attendevo che finisse la naja, quella non si è dispersa, non è stata piegata: me la porto addosso, coperta di rughe, con poche ferite e nessun disincanto.