L’uomo ha come forma principale di comunicazione il linguaggio; il nostro modo di esprimerci nasce da fattori culturali che sono il luogo dove siamo cresciuti, i nostri studi, le persone che abbiamo frequentato nel corso della nostra esistenza.
Il linguaggio diventa il braccio terminale dei nostri pensieri, la via di uscita di quello che vogliamo esprimere.
Nel corso dei secoli questo fragile equilibrio necessario per rendere pubblico il nostro pensiero ha dovuto fare i conti con nuove forme di comunicazione, che hanno cambiato il nostro modo di approcciarci alla esperienza del vissuto..
Pensiamo, ad esempio, cosa deve essere stata la scoperta della stampa a caratteri mobili con la possibilità per un pubblico più vasto di accedere ad informazioni prima relegate a soli pochi eletti, o nel dopoguerra l’avvento della televisione, primo esempio di comunicazione con immagini.
Oggi stiamo procedendo in questo senso ad una velocità talmente stratosferica tramite nuovi mezzi sempre più immediati e diretti, come quelli legati al mondo telematico, che da molte parti si paventa il rischio di perderne il controllo. Ma il controllo da parte di chi?
Il discorso è di una vastità tale che forse implicherebbe un trattato o un saggio al riguardo: basta pescare nel mazzo dei recenti fatti che hanno visto coinvolti i social network come ad esempio l’uso distorsivo fattone dal killer norvegese oppure l’utilizzo come tam-tam fatto dai ragazzi dei paesi arabi capaci di fare cadere o traballare dittature imperiture.
Questo pensiero mi è nato da due eventi in apparenza separati: la lettura della monumentale trilogia di Javier Marias “Il tuo volto domani” e il centenario della nascita del sociologo canadese Marshal McLuhan.
Il libro di Marias è un fluviale racconto che narra le vicende di Jacques Deza personaggio che riesce a comprendere le intenzioni future delle persone in base al loro modo di esprimersi e di comunicare il proprio pensiero. Tra i diversi filoni narrativi su cui si dipana la storia , risulta molto interessante la parte che riguarda l’uso che si faceva di queste capacità durante la guerra per indagare le reazioni delle persone nei confronti degli eventi bellici fino a capire se in essi erano già insiti i prodromi di un eventuale tradimento. Il romanzo si fa così indagine sulla conoscenza della natura dell’uomo. E lo stesso modo di scrivere di Marias persegue questa ricerca sulle modalità espressive, con un periodare lungo e digressivo che mette a dura prova le capacità del lettore, quasi come se il suo scopo finale fosse quello di arrivare all’esaurimento di tutte le vene auree che sull’argomento si possono trattare. Questo accostamento diventa un po’ il limite del romanzo, ma rimane invece impresso il senso finale e cioè della fragilità della natura umana di fronte ai grandi e piccoli eventi che la storia ci propone.
A questo si abbina il pensiero di McLuhan che, primo tra gli altri, aveva anticipato la nascita del villaggio globale ritenendo che il mezzo tecnologico avrebbe prodotto cambiamenti radicali sull’immaginario collettivo, indipendentemente dal messaggio proposto.
Mai come ora il suo pensiero è attuale, in questo periodo dove le nuove forme di informazione stanno rapidamente sostituendosi alle quelle oramai da anni consolidate.
Se gli effetti sociali sono al momento ancora indefinibili, non si può fingere che il cambiamento non sia già partito.
Ora, considerata la volubilità dei comportamenti umani, credo che il dibattito che si aprirà punterà soprattutto sui limiti da non oltrepassare.
Evitiamo di dare voce alle grancasse del moralismo ad oltranza che cercano di instillare paure immotivate sui futuri disastri sociali, che sono motivate più da interessi a mantenere le proprie posizioni predominati che reale preoccupazione sul futuro delle nuove e vecchie generazioni.