Strano il destino di Paolo Sorrentino, ogni volta che esce un suo film viene accusato di scimmiottare qualche maestro.
Stavolta la lesa maestà è nei confronti del maestro per antonomasia Federico Fellini; “La Grande Bellezza” sembrerebbe assomigliare nella struttura a “La Dolce Vita” ma no, per carità Sorrentino non ha le capacità per arrivare a tanto.
Che di quel capolavoro , ci siano omaggi e citazioni sicuramente è vero, ma quello che al Nostro interessa, non è tanto la trasformazione di una società nella fase del boom ma il suo decadimento davanti ad una città di abbacinante bellezza che silenziosa assiste.
Jep Gambardella è il Re dei mondani di una Roma quasi sempre notturna fatta di feste, “party botulino”, assurdi spettacoli d’avanguardia, passeggiate nelle ville di vecchie nobildonne e incontri con suore in odore di santità.
Quello che l’occhio di Fellini negli anni 60 guardava con un senso di pietas ora non esiste più; i personaggi buoni o deboli devono abbandonare la scena, rimane lo sboom di una società in totale sbandamento osservati da uno sguardo cinico e disgustato.
Rimane Roma madre/matrigna che come tutte le città ammalianti ti attrae, ti promette tanto e sovente non mantiene.
“La Grande Bellezza” pur non essendo esente da qualche difetto da troppo accumulo è forse uno dei film più importanti degli ultimi anni, per la sua audacia, per l’ambizione e per ardite scelte stilistiche; rimangono oltre alla straordinaria interpretazione di Servillo che ad ogni film dimostra ormai di far parte del pantheon dei grandi attori italiani, anche quelle di Verdone e Ferilli che danno vita a due personaggi dolenti difficilmente dimenticabili.