Quale gioia quando in libreria vedi un nuovo libro di Murakami Haruki; sai che quando l’avrai in mano si aprirà nuovamente quello scrigno magico sospeso in una dimensione non classificabile.
L’occasione è l’uscita italiana (con vergognoso ritardo di anni rispetto ad altri paesi) della seconda parte di 1Q84 forse uno dei vertici letterari del maestro giapponese.
Ciò che rende unico Murakami è la sua abilità ad unire il reale all’onirico utilizzando quest’ultimo come mezzo e non come fine.
La sua prosa fila via come un flusso di coscienza e dove è bello perdersi, lasciarsi andare nei sui labirinti, dove tutto non è come sembra, dove l’irreale è più reale del reale.
Anche se tutti gli anni mi incazzo perché non gli danno il Nobel, poi mi passa, pensando snobisticamente che sì, continuate a darlo a sconosciuto autori svedesi o cinesi tanto a lui forse non importa nemmeno.
Mi ricordo quando mi arrivò per vie traverse il primo libro che lessi “L’elefante scomparso” che era stato regalato ad un amico che nemmeno lo aveva aperto. E come in un romanzo di Murakami quel libro, tutte le volte che lo vedevo sullo scaffale mi mandava strani segnali, come se mi chiamasse, volesse essere letto a tutti i costi, e così tutto cominciò.
La passione per un autore è una cosa strana, diventa quasi culto, cerchi di fare proseliti, non sempre ci riesci, ma la soddisfazione è tanta quando riesci a trasmettere anche in parte quella sensazione che provi tu.