Una delle cose più importanti che mi ha insegnato il lavorare in piccoli o grandi team, localizzati o distribuiti, è il bisogno di umiltà.
Non da parte degli altri ma da parte tua.
La bellezza di accogliere un’opinione differente per mettere alla prova le proprie convinzioni, smontarle e ricostruirle più solide con elementi che un attimo prima non si erano considerati.
Un piacere che non ha nessuna parentela con un approccio filosofico ma è strettamente legato ad un concetto di qualità: il piacere di migliorare un’idea.
Abbiamo imparato ad avere paura della parola umiltà. Automaticamente la associamo al chinare la testa, al lasciare il passo, al declinare una posizione.
Per non parlare poi della paura di perdere il possesso della propria idea nel momento della condivisione; il veder diluire la nostra tonalità nel momento in cui entra in contatto con altri colori.
Quando lavoro con persone che non hanno l’abitudine al confronto e alla condivisione impiego il doppio delle energie; la porzione ulteriore serve per creare un contesto che metta queste persone a loro agio: dimostrare loro che avere un’idea non significa possederla e che non è unicamente necessario difenderla. Semmai diventa più interessante osservarla da posizioni diverse e provare a verificare su di essa un punto di vista inedito.
Generalmente è sempre una fase che ha bisogno di prese di posizioni nette che per assurdo servono per far capire che non si ha l’interesse a mantenerle.
Non è un buon segnale perché in questo modo i risultati si raggiungono più lentamente e si perde la freschezza di un progetto aperto e realmente collaborativo.
Dove ho riscontrato umiltà ho trovato anche forza e determinazione associate a conoscenze consolidate ed esperienze vissute: molta pratica alle spalle e tante visioni pronte per essere il traino di nuove idee o il supporto di altre più mature.