Fresco vincitore di Oscar, “Il caso Spotlight”è il classico film di inchiesta, opera di grande impegno civile, cinema nel quale gli americani come nessuno sono maestri.
La storia segue un gruppo di giornalisti del Boston Globe che con la loro indagine portarono alla luce il tentativo del Cardinale della città Law di insabbiare gli abusi sui minori perpetrati dai preti della sua diocesi nel corso di un trentennio.
Supportato da un cast di attori in stato di grazia, tra i quali emergono il sempre bravo Mark Ruffalo e il ritrovato Michael Keaton, il film segue tutti i topos narrativi del genere inchiesta e ha la capacità di coinvolgere senza l’artifizio del colpo di scena ma con l’utilizzo di una sceneggiatura a orologeria anche questa giustamente premiata.
Due temi fondamentali emergono: in primis quello più evidente, cioè l’omertà della chiesa che preferisce insabbiare qualcosa che possa mettere in pericolo il suo status pagando il silenzio delle vittime; e la capacità di un certo giornalismo, ormai in via di estinzione, di ricercare la verità, non accontentandosi di rimanere alla superficie dei fatti.
Viene da pensare come le alte sfere della chiesa non potessero non sapere ciò che accadeva e che il lavoro fatto oggi di pulizia non sia altro che operazione effettuata con molto ritardo arrivando a gettare diverse ombre sul pontificato di Giovanni Paolo II.
Resta il rammarico di sapere che il Cardinale Law venne trasferito a Roma a presiedere la chiesa di Santa Maria Maggiore dove oggi tuttora vive ritirato.
L’unica consolazione rimane il rifiuto di Papa Francesco di incontrarlo, tardivo risarcimento nei confronti di tanti bambini eternamente segnati da quegli eventi.