Questi giorni è stato il quarantesimo anniversario del disco “Blue” di Joni Mitchell. Esiste un avanti-blue e un dopo-blue, che non sarà mai più lo stesso. Generazioni intere di cantautrici ancora devono pagare pegno, se non proprio subire il paragone, con la signora del Canyon. Capita spesso di citarlo come “il” disco, quello che ci si porterebbe nell’isola deserta come unica alternativa. Guardate qui l’intensa scena in cui, nel film “I ragazzi stanno bene”, Annette Bening canta “All i want”, arrendendosi al fatto che in quel disco c’è davvero tutto quello che una donna deve sapere.
Ma partendo da quel disco vorrei cercare di capire perché ho sempre preferito il cantautorato femminile? Si può generalizzare e arrivare a dire che esista un modo “maschile” e un modo “femminile” di scrivere canzoni?
Io onestamente credo di si. E’ la diversa sensibilità a giocare, in questo senso, un ruolo determinante. Una questione di ottica, di prospettive diverse. Una donna probabilmente scrive cose che un uomo scriverebbe in modo differente. E viceversa.
Credo che, per altro, la questione non possa essere legata esclusivamente al genere. Lo stesso Billy Corgan, in un intervista del 1996, ha detto: “Trovo difficile immaginare le mie canzoni cantate da degli uomini, questo perché ritengo la mia prospettiva molto femminile… Per me l’idea di avere una prospettiva femminile significa il desiderio di essere vulnerabile. È molto facile l’atteggiamento e la posa da rocker macho. Io non riesco a non parlare con il cuore in mano, sono come una terminazione nervosa. È così che sono e, a mio modo di vedere, è molto femminile perché non è un modo di essere maschile. Un approccio maschile sarebbe mettersi in posa”.
E a conferma di questa tesi posso tranquillamente dire che Madonna e Lady Gaga, ad esempio, hanno un approccio sicuramente maschile proprio per il loro modo di mettersi in posa, di coprirsi di un ruolo anziché di mostrasi intimamente. Ed ecco perché le detesto.
Allora parliamo di sensibilità. La sensibilità maschile e quella femminile sono molto diverse. Il modo di scrivere, di suonare e interpretare una canzone cambiano radicalmente a seconda che sia un uomo o una donna a farlo, perché il modo di vivere la vita e le emozioni non sono uguali. Pensate a come tendenzialmente maschi e femmine vivono il sesso, che spesso è di ispirazione per le composizioni musicali. I maschi sono spesso spinti da pulsione che ha ben poco a che fare con la delicatezza. Mentre le donne – anche solo per il fatto di accoglierci fisicamente – devono mettere in gioco qualcosa che ha molto a che fare con la fiducia. La distinzione è forse che le donne hanno vergogna dell’aspetto carnale dell’amore, gli uomini invece non riescono ad esprimersi ed hanno timore di quello emotivo. Nella mia testa rimane sempre l’idea che nella donna ci sia la necessità di accompagnare al sesso qualche forma di sentimento, che non necessariamente deve essere l’amore. La chiamerei apertura al futuro. E queste differenze si avvertono nel lavoro di artisti di generi diversi. Gli uomini scrivono mantenendo sempre una base razionale e concreta. Le donne tendono ad avere di più la testa tra le nuvole, ad essere più metaforiche, più oniriche. La loro è la musica delle sognatrici!
Certo c’entra anche la storia sociale delle donne e il modo in cui il femminile si è sviluppato. Un uomo se perde la pazienza può sbraitare e alzare le mani o dare una testata in pieno petto, ed essere lo stesso socialmente accettato. Se lo facesse una donna sarebbe definita un’isterica. E quindi hanno dovuto auto-limitarsi ad essere “mediamente isteriche”, per dirla alla Consoli, e hanno dovuto imparare a reagire con i silenzi e le lacrime.
Ed ecco che mi tornano alla mente plotoni di artiste (oltre a Joni Mitchell penso a Laura Nyro, Tori Amos, Rickie Lee Jones, Karen Dalton, Tracy Chapman, Ani DiFranco, Patty Smith etc) che riescono ad estrapolare il senso da tutto quel che è crisi e confusione con un piglio acerbo, impressionistico usando la voce come un lamento d’amore celato in un grido. Poetesse che scandagliano il proprio essere con ostinazione e, a volte, quasi con cattiveria. Dischi che nascono proprio dalla convinzione di avere così tanti panni sporchi da lavare. E come in un diario privato ci regalano dei testi disarmanti. E’ come avere la vergine e la puttana sedute una di fianco all’altra, che non fanno altro che giudicarsi aspramente l’un l’altra. Ma, rispetto all’approccio maschile, non si arriva mai ad un giudizio, non c’è buono o cattivo, giusto o sbagliato, bene o male. Anzi, l’approccio femminile, nasce proprio dalla volontà di non nascondere le proprie debolezze.
Insomma Kurt Cubain, pur essendo maschio, ci ha regalato una produzione molto femminile sotto questo aspetto.
Invece tante cantanti donna ci vengono rappresentate messe al centro con ai lati due coriste o due ballerine un po’ più bruttine, vestiste in modo simile ma meno appariscente, un po’ più bassine. Non è un approccio maschile questo? Non è un rivendicare io sono più “cool” di queste due che mi stanno a fianco?
Ad ogni modo da quel “Blue” di Joni Mitchell, le donne sembrano essersi aperte un campo tutto nuovo nella musica. Mi sembra che gli uomini abbiano bisogno di stare in gruppo, come i lupi. Pensate ai Beatles, i Rolling Stone, i Pearl Jam, gli Oasis. Le donne tendono ad essere più solitarie, ma forse è soltanto una differenza di configurazione. La verità è che a lungo le donne sono state solo Mona Lisa, tutto lì. Le donne, le mogli, le amanti, le sorelle hanno ricoperto il ruolo di muse ispiratrici senza mai ottenere le stesse gratificazioni rispetto agli uomini. Oggi mi pare che le parti si stiano invertendo ed è giunto il momento che le donne comincino a fare anche Leonardo Da Vinci. Senza però correre il rischio di essere processate e bruciate come streghe. Al massimo finiranno per vincere un MTV Music Award, che è quasi peggio!
Il video che mi piace ora
Fallulah – Bridges
Ragazzina danese che potrebbe essere l’anello di congiunzione tra Lady Gaga, Fever Ray e Lykke Li.
La canzone che mi piace ora
My Brightest Diamond – Reaching Through to the Other Side
Un nuovo pezzo anticipa il nuovo disco previsto per ottobre. My Brightest Diamond è in odore di capolavoro definitivo con un arrangiamento praticamente perfetto.
La cover che mi piace ora
Cherry Ghost – Finally (Ce Ce Peniston cover)
Per esplicitare il concetto, ecco come cambia una canzone femminile (e gay per antonomasia) rifatta col piglio maschile.