Come tutte le mattine tergiversó tra le solite applicazioni e poi inizió a scriverle il messaggio delle sette.
Cercava di non iniziare scrivendo “buongiorno” non tanto per la forma un po’ distaccata quanto per l’insistenza del correttore nel proporgli “amore” come seconda parola.
Se l’erano mai detta una parola del genere in un saluto, in una conversazione sotto le coperte prima di dormire, durante una serata di festa con un po’ di alcol in corpo?
La giornata se ne andava sempre più spesso come un cerino, consumandosi tra momenti concitati e risultati più o meno appaganti.
La sera si raccoglievano le ceneri di un tempo passato troppo velocemente, senza aver capito bene a cosa fossero effettivamente servite le ore passate.
L’autunno è obbligatoriamente una stagione legata alla malinconia, le ore calde rimandano ai ricordi dell’estate appena trascorsa, i primi freddi della sera appoggiano sulla pelle i brividi dell’inverno che, come al solito, durerà troppo.
Oltre la luce dei monitor, il buio della sera aveva riempito la stanza, le foglie gialle sugli alberi riuscivano ancora a raccontare la loro presenza.
Riordinò la scrivania che comunque non riusciva mai a rendere troppo caotica e telefonò ai suoi per rinfrescare quel rapporto fatto di consuetudini così naturali e piacevolmente ovvie.
La serata non aveva bisogno di grandi pianificazioni, sarebbe scivolata come al solito su un tardo dopocena nel quale voler concentrare troppe cose che non avrebbero trovato gli spazi necessari e le collocazioni temporali utili.
Le notifiche sul telefono continuavano a vivere tra loro, cercando di attirare un’attenzione ormai sfibrata dalle prime pressioni della stanchezza, sugli occhi verso le tempie, per poi scorrere lungo gli arti e il piacere di lasciarla fare.