In questi giorni in Emilia c’è stato il terremoto. Ma c’è stato anche il GayPride nazionale a Bologna, che ha cambiato veste per celebrare le vittime e i disagi del sisma, mettendo momentaneamente da parte le proprie rivendicazioni. Ma in fondo anche scoprire e vivere la propria omosessualità da giovani è un vero e proprio terremoto emotivo.
In qualche post fa ho affermato che preferisco le canzoni con i testi criptici e oscuri. Ma non quando si parla di omosessualità. Questo argomento che è stato tabù per secoli e ora deve essere manifestato, gridato, sbattuto in faccia ed aiuti legioni di ascoltatori a ridefinirsi anche attraverso della canzoni che parlino, senza giri di parole, delle proprie emozioni gay.
Certo alcune canzoni del passato, risentite oggi, è evidente che fossero state scritte da autori gay e che parlassero di emozioni e di amori omosessuali. Uno su tutti: Umberto Bindi. “La musica è finita” o “Il nostro concerto”, oltre a essere canzoni raffinatissime, celano un evidente passione di tipo omosessuale.
Ma la liberazione di se stessi, parte proprio dal momento in cui non si vuole celare ma rivendicare.
E chi era adolescente negli anni ’80, conosce la forza travolgente che può avere una canzone come “Smalltown Boy” dei Bronski Beat.
Questa canzone invita i giovani gay a lasciare le proprie case, le proprie famiglie che non avrebbero mai capito per andare a cercare “una casa alla fine del mondo”, come l’avrebbe definita anni dopo lo scrittore Michael Cunningham, ovvero la ricerca di un nuovo equilibrio in un mondo che si sforza di non crollare sotto il peso delle convenzioni che si sfaldano.
Insomma questo si che era parlare chiaro! Questo si che era dare un nome alle cose!
E il disco fu un vero successo nonostante, soprattutto in America, le radio non lo trasmettessero spesso per l’esplicito contenuto gay del testo.
Negli anni ’80, gli anni in cui si poteva tutto, arrivarono le “nostre” invasioni barbariche.
A guidare le truppe ci saranno gli Smiths, con il loro grido “Un assalto, un colpo e la terra sarà nostra“!
Seguiti a ruota dai Culture Club, che con “Do you really want to hurt me”, mettono in piazza in stile Novella 2000 la controversa storia d’amore tra Boy George e il batterista, Jon Moss. “Vuoi davvero farmi male” e l’assenza di un punto interrogativo, che, insieme all’inversione, normalmente interrogativa, dell’ausiliare do e del soggetto, ammette così l’interpretazione affermativa.
Insomma amori complicati e osteggiati, nella maggior parte delle canzoni, ma di una forza dirompente.
Ma negli anni ’80 si è potuto più o meno cantare di tutto e solo George Michael non ha avuto la forza di capirlo in tempo.
Tutte queste canzoni, grazie al loro successo commerciale, sono diventate veri e propri “manifesti”, perdendo forse il valore dell’intimità e della confessione personale.
E così ognuno avrà una canzone, magari meno nota o meno universale, che gli ricorderà da che parte stare.
Credo che difficilmente ci potrà essere un verso tanto diretto e catartico di “lui sta per diventare mia moglie”, come cantano i Magnetic Fields in “When my boy walks down the street“.
Negli ultimi anni non sono mancati artisti importanti per “il sindacato gay”. Rufus Wainwright che ha cantato addirittura la venuta di un messia gay. Antony che ha cercato di smontare il (falso) potere maschile attraverso una rivendicazione del femminile. Fino alla nuova star Perfume Genius che tra pochi giorni sarà per la prima volta in Italia.
Inevitabilmente saranno le grandi signore della musica a trovare le parole più belle per coccolare questo loro pubblico affezionato e probabilmente che sentono spiritualmente e creativamente, molto vicino.
Tori Amos in “Riot Poof“, ovvero “Gay alla rivolta”, nel suo solito stile descrive la vita del personaggio gay tra “Terrore dell’incantesimo urbano” e “mari di java” ma riesce poi ad essere rassicurante, come una madre universale, nel ritornello dove canta una specie di mantra che dice: “Tutto si sistemerà in tempo”.
Oppure Bjork, che riuscirà a celebrare i gay con “Venus as a boy” .
Anche in Italia ci sono, soprattutto nel sottobosco indie, delle belle canzoni dirette ed esplicite.
Quella che preferisco è “Due cuori, una dark room” degli Amor Fou.
Nella canzone ci vengono presentati due uomini che al buio di una dark room si baciano con tutto la trasgressione e paura che un semplice atto del genere può provocare in due persone che non sanno vivere altrettanto bene la loro omosessualità fuori dalla dark room.
Insomma come diceva Alfred Douglas: “L’amore che non osa pronunciare il suo nome.” Ma che lo si può cantare, aggiungo io.
La canzone che mi piace ora
Fiona Apple – Every single night
Fiona ci porta dritti dritti alla sua disturbata insonnia notturna dovuta a sua dire dalla fatica fatta durante il giorno ad essere esattamente quello che si cerca di non essere.
Il video che mi piace ora
CocoRosie – We are on fire
Le CocoRosie ci ricordano che quando si è accaldati è meglio… rallentare i ritmi.
La cover che mi piace ora
The Dø – Tight Rope (Jeanelle Monae cover)
Olivia spogli il tormentone dello scorso anno della celebre melodia per farne un mantra oscuro e ispirato.