Il numero delle persone di passaggio, spostando lo sguardo all’altezza delle scarpe, aumentava vorticosamente; una specie di brusio, quasi un formicolio che passava dallo sguardo alla pelle.
Questo gioco attraverso la vetrina del bar, con le mani saldamente ancorate al tepore della tazza di caffè lungo, lunghissimo, palesemente fuori orario.
Lei entrò con gli occhi dell’ennesima giornata difficile e con il sorriso di riserva.
Lui capiva bene le sue alternative mancanti, l’impossibilità di raccontare ogni volta i tentativi spuntati e l’anomalia della sua routine.
Il tutto si scioglieva nel loro rapporto sempre più liquido, lasciando in sospensione particelle opache, sempre più difficili da rimuovere, anche con la loro perseveranza costante, da eroi del lunedì mattina.
Nessuno dei due aveva appuntato, tra le paure, quelle che non sarebbero arrivate dalle loro leggerezze e dalle loro lacune.
Qualcosa che arriva alle spalle e di cui non avevi neanche percepito i passi, anche lievi, ti segna molto più dei tatuaggi distribuiti e confusi sulle braccia dei giovani personaggi del tavolo all’angolo, intenti ad aggiungere mondi differenti nelle loro bottiglie d’acqua naturale da 500 ml.; la serata si avvicina.
Entrarono nel locale e per un momento qualcosa li spostò temporalmente su emozioni familiari, quelle posizionate in cantina dentro scatole etichettate approssimativamente.
Era chiaro che fosse divertente, doveva esserlo, era evidenziato su ogni respiro e su ogni movimento.
Si guardarono cercandosi in un periodo diverso ma si intravedevano a malapena per cui decisero di sedersi per osservare dove non erano andati o dove non erano arrivati.