Sorprendente come la televisione

Il non avere un televisore riesce spesso a generare un certo livello di stupore quando poi capita di trovarlo acceso da qualche parte.
Due tipi di stupore direi: uno per i programmi ed uno per la pubblicità.
La programmazione ha raggiunto dei livelli di coraggio davvero sorprendenti. La moltiplicazione dei canali che il fantomatico digitale terrestre ha portato nelle case, dicono abbia ampliato l’offerta. In molti casi è vero letteralmente in quanto si tratta di pure televendite di oggetti improbabili (soprattutto quelle tradotte e scodellate dai mercati anglosassoni) condotte da venditori che sembrano sotto l’effetto di droghe pesanti (soprattutto quelle locali).
Il pezzo forte arriva dal tripudio di format costruiti sul peggio delle qualità umane ed il telespettatore diventa il teleguardone.
Il “peggio” ha un’attrattiva fortissima e poterlo deprecare in comodità e a debita distanza deve far sentire decisamente migliori.

Poi c’è la pubblicità.
L’unica cosa che riesco a pensare quando vedo la pubblicità televisiva è lo spreco di risorse che genera.
Non solo per il costo di certe produzioni ma anche per lo spreco di energie umane e creative; penso se solo quegli abili creativi lavorassero a progetti con un senso reale quante cose potrebbero migliorare nella vita di tutti i giorni.
La pubblicità mi ricorda la politica: parla sempre con lo stesso linguaggio ad un pubblico che non l’ascolta. Certo si adegua ai tempi, cambiano i termini, cambiano le immagini ma le fondamenta rimangono: perchè funzioni tu devi essere non troppo “sveglio” o devi essere rimasto chiuso in una scatola da un bel po’ di anni a questa parte.

La pubblicità televisiva sopravvive sul meccanismo perverso dove, chi ha grossi budget, fatica meno nello spendere in divertenti/fascinosi/intriganti filmati piuttosto che affrontare un pubblico che sceglie sempre più spesso partendo da altri punti (logica/informazione/confronto/passaparola).
Il primo premio della banalità lo raggiungono gli spot delle auto costose, sembrano arrivare da epoche di cui ci siamo dimenticati, le voci morbide e ovattate sembrano delle parodie: il vuoto assoluto.

La comunicazione “social” in TV passa per percorsi contorti: costruisco un programma con dei contenuti facili, ti piazzo un personaggio con una attrattiva potenziale e poi decoro sapientemente le inquadrature con prodotti da promuovere. Non ci vuole molto a capire del perchè esistano tanti programmi dedicati alla cucina…

La televisione è tutt’altro che morta, vive un periodo di difficoltà di ambientamento: è una attempata ma energica signora che si ostina ad andare in ufficio con l’abito da sera.

Andrea Ferrato

  • Date: 04 07 2012
  • Filed under: Andrea Ferrato, Storie, Fotografia