Sottrazione e addizione

Opera attesa e già annunciata come capolavoro del regista americano P.T.Anderson, The Master è un film che mi ha fatto pensare ad un’operazione quasi matematica dove si è ridotto al minimo il racconto (sottrazione) e si è preferito privilegiare la parte emotiva dei personaggi (addizione).

Autore eclettico di film memorabili come Magnolia e Il petroliere ma anche di opere forse meno conosciute ma altrettanto intense come Boogie Nights e Ubriaco d’amore, Anderson usa un linguaggio cinematografico che non persegue mai la via maestra, creando una sua personale cifra stilistica.

Qui abbiamo il rapporto tra due personaggi completamente diversi, che proprio per questa loro lontananza culturale e ambientale si attraggono in maniera morbosa. Un reduce dalla guerra in Corea, ritorna alla vita di tutti i giorni non riuscendo però ad reinserirsi diventando lentamente un disadattato.
L’incontro casuale con un leader di una congregazione che persegue una non ben precisata Causa diventa deflagrante per entrambi i protagonisti. Il reduce, pur non capendo il significato di ciò che la setta persegue, si rende paladino a difesa del verbo del Maestro fino all’utilizzo della violenza; il Maestro a sua volta è affascinato dalla possibilità di avere una persona malleabile da poter fare aderire pienamente al suo credo.

A P.T. Anderson non interessa il racconto nella sua forma canonica e quindi “sottrae” tutto il superfluo del narrare, privilegiando l’interesse sul rapporto morboso che si viene a creare tra i due personaggi, “aggiungendo” e saturando la schermo di primi piani.
Sono le dinamiche che scaturiscono da due figure così diverse.

In questo aiuta la straordinaria performance attoriale di Joachim Phoenix e Philip Seymour Hoffman, il primo con una recitazione tutta fisica, il secondo tutta verbale.
Ne escono momenti di intensa forza emotiva grazie anche alla capacità registica che avvolge in continuazione gli attori.

In ciò sta la forza e forse la debolezza del film; di troppo amore per i propri personaggi si può anche morire, non è questo il caso ma l’autocompiacimento a volte fa capolino, quasi come come se il regista ci tenesse a dire: “il vero Master qua sono io!”

Sicuramente è un’opera che riaprirà l’eterno dibattito tra chi urla al capolavoro o chi scappa via a metà visione gridando che è una vergogna fare film così (ne sono testimone), visioni differenti su cosa aspettarsi di vedere al cinema (ma un minimo di preparazione no?? non basta ormai collegarsi al proprio iPhone per avere uno straccio di notizie prima vedere un film?).

Detto questo, quando esco da una sala rimanendo a pensarci su e sapendo di dover metabolizzare per qualche ora quello che ho visto so già che risposta darmi: ne è valsa comunque la pena.

Alberto Guizzardi

 

  • Date: 23 01 2013
  • Filed under: Alberto Guizzardi, Storie, Cinema