“This must be the place” è un film che decisamente non lascia indifferenti, vuoi per la bellezza delle immagini vuoi per lo straordinario Sean Penn che evita lo stereotipo che potrebbe riservare un ex cantante rock 50enne depresso, vuoi la straordinaria regia virtuosistica di Sorrentino.
E’ un film che lascia anche dei rimpianti per “il capolavoro mancato” perché a volte la stessa regia, a furia di virtuosissimi e dolly autocompiaciuti, sembra volerci ricordare quanto il regista sia bravo e la sceneggiatura a volte tende a preferire la scorciatoia facile della macchietta.
Ma non si può negare però che l’impianto scenico è imponente e i rimandi più o meno consapevoli ad altre opere evidenti; durante la visione mi sono venuti alla memoria a caso, “Paris,Texas”, “True Stories” di David Byrne qui compositore delle musiche e con piccolo cammeo e pure , ma su mettiamocelo, il mitico “Bagdad cafè”.
E così questo film anomalo,un po’ imperfetto, si fa comunque amare per l’emozione che riesce a trasmette, per il suo personaggio clown che ci accompagna moderno Candido attraverso la conoscenza/coscienza di se stessi.
E l’inseguimento dell’aguzzino del padre nel campo di concentramento di Auschwitz, è in realtà l’occasione irripetibile (la vita non è fatta di occasioni spesso mancate?) per fare i conti con il passato e con i propri fantasmi. La pacificazione personale arriverà quando salderà i conti del padre nel bellissimo e sconcertante prefinale.
Si è davanti a qualcosa di raro, ad un autore che ama andare oltre il semplice raccontare e si esce dalla sala comunque storditi, emozionati, pensierosi.
E male abituati dal medio cinema ci chiediamo: ma da quando non capitava?