Martedì 22 novembre al teatro Martinitt di Milano c’è stato l’atteso concerto di My Brightest Diamond, che ha dato poco pubblicato uno dei dischi più belli dell’anno: “All Things Will Unwind”.
Dietro il nome un pò pomposo del progetto in realtà si nasconde solo una meravigliosa creatura: Shara Worden, polistrumentista 37enne che arriva da Detroit.
Detroit oggi è la città fantasma degli Stati Uniti. Un tempo capitale mondiale dell’industria automobilistica grazie alla Ford e contemporaneamente una mecca per l’industria discografica grazie alla Motown Record e al Detroit Theatre District, ovvero la seconda area su scala nazionale in termini di posti a sedere. Insomma una città viva e stimolante.
Da quando quasi tutte le sue aziende hanno chiuso i battenti la città non ha saputo reinventarsi e attualmente vaste zone periferiche di Detroit mostrano ancora uno stato di degrado e di abbandono con case arse dal fuoco e cadenti ed erba che invade i marciapiedi. Buona parte della città risulta essere inoltre senza inquilini e in mano a bande di strada con un tasso di deliquenza tra i più alti degli Stati Uniti.
Se da tutto questo ne esce fuori Shara Worden, credo abbia tutti il diritto di chiamarsi My Brightest Diamond o, in alternativa “Perle ai porci”. Da Detroit era partita anche Madonna, ma facendo una bandiera proprio del suo rifuto alla vita di periferia e cercando il cambiamento a New York con i famosi 35 dollari in tasca. Anche Eminem ci ha sputato addosso tutta la sua rabbia nei confronti di quella città.
Shara invece riesce a convogliare nella sua particolarissima musica tutti gli aspetti positivi (e nascosti) di questa città: la semplicità, l’amore per un passato che non c’è più, la commistione di razze e tradizioni, l’ibrido e la mescolanza di generi, culture e influenze. Una specie di fado …. metropolitano.
Nel corso degli ultimi anni praticamente tutti hanno voluto la voce di Shara come guest vocal: Bon Iver, David Byrne e Fatboy Slim, Laurie Anderson, il marito di Bjork, i Clogs, i Decemberist, i Profuse73, Owen Pallett e molti altri.
Per renderla ancora più particolare nel mondo delle star di oggi, sappiate che è da poco diventata mamma e vive con il fidanzato che ha conosciuto alle superiori.
E’ stato il secondo concerto suo che vedevo dal vivo. Il precedente era stato ad Urbino nel 2008, dove aveva diviso il palco con St. Vincent.
Visto ormai il suo indubbio successo e visto che l’ultimo disco è stato scritto con partiture quasi classiche e arrangiamenti orchestrali, mi aspettavo un concerto un pò freddino tutto concentrato sulla resa (difficile e complicata) di ogni esecuzione.
E invece la sorpresa dello show è stata la spontaneità.
Già l’uscita sul palco è spiazzante: Shara indossa una maschera di carta pesta (disegnata da Lake Simons) con una faccia che è una via di mezzo tra quella di un neonato e papa Ratzinger. La indosserà tre volte durante lo spettacolo improvvisando dei buffi balletti trash che potrebbero essere stati presi dalla Corrida o da qualsiasi dopo cena di una qualunque serata alcolica. Dopo essersi resa ridicola con questi balletti, imbraccia ogni volta uno strumento diverso (basso, banjo, tastiere, arpa elettronica etc) e comincia a suonarci una delle sue angeliche melodie.
E poi è una continua interazione con il pubblico. All’inizio della performance Shara si lamenta che il palco è troppo distante dalle persone e chiede di farle sentire la nostra presenza in tutti i modi che riteniamo: applaudento, urlando, snattendo i piedi, muovendo le spalle.
in realtà quello che si sente da subito è un fastidiosissimo fischio di una cassa. Lei ci scherza su come una comica consumata da anni di Zelig: rifà il verso alla cassa, ci parla, cerca di coprirlo facendo pù baccano possibile. Diventa una gag. A metà concerto chiede di spegnere tutte le luci perchè sicuramente c’è qualche interferenza sulle frequenze e infatti il buio risolve il problema. Il tutto gestito con la naturalezza e la spontaneità di una bambina.
Ultimamente mi era capitato di leggere una sua intervista in cui spiegava: “Una volta mi esibivo come in una bolla, adesso cerco di romperla e di impedire che l’audience sia lontana da me, prima cercavo di ricreare sul palco uno spazio sicuro per me, adesso invece cerco di non lasciar fuori nessuno dalla stanza. Cerco di immaginare che anche la persona che sta in fondo, scoppia a ridere e non sta ascoltando un accidenti, debba essere inclusa. Cerco di non essere dura al riguardo, di non sentirmi ferita, ma di essere “inclusiva” e di far sì che tutti si sentano parte di ciò che sta accadendo.”
Per conoscerla meglio:
“I have never loved someone” >>>
Dedicata al figlio in cui canta ““E se crescerai per essere un Re, un clown o un povero, io continuerò a dirti che sei il mio preferito. E se la pioggia non laverà via I tuo dolori, io allora troverò un altro modo per dirti che vai bene così come sei”.
“All things will unwind” >>>
“Be Brave” >>>
La canzone che mi piace ore
Florence + The Machine – No light, no light
All’inizio avevo snobbato il disco. Devo dire che con più ascolti (e meno pregiudizi/aspettative) non è affatto male.
Il video che mi piace ora
Emika – Professional Loving
Questa tizia inglese, di origine ceca e di base a Berlino, ha sfornato un disco di una bellezza imbarazzante, post dubstep un pò alla james blake ma anche meglio, un pop elettronico raffinatissimo. Insomma bellezza a palate.
La cover che mi piace ora
Drums – Birthday
Il 21 novembre Bjork ha fatto gli anni e i Drums hanno pensato di coverizzare “Birthday” della sua prima band, i Sugarcubes.
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