La prima cosa che mi è venuta in mente al termine della visione di Sacro Gra è stata: “E poi?”.
Perché è un po’ questa la sensazione che rimane del vincitore di Venezia 2013, un senso di incompiutezza.
Mi è capitato di vedere 2 anni fa sempre di Gianfranco Rosi “El Sicario” diario dirompente di un narcotrafficante messicano, film che sdoganava una volta il genere documentario come vera forma di arte cinematografica.
Qui le storie che si snodano attorno al raccordo anulare di Roma, pur riprese in maniera egregia e con interessanti invenzioni di regia, rimangono allo stato di macchietta, come se il regista nel montaggio di oltre 30 ore ridotte ad un’ora e trenta, avesse prediletto quello che poteva essere più divertente e più fruibile per il un pubblico anche di massa.
Viene ora da chiedersi cosa ci sia nel materiale restante; potrebbero venire fuori altre visioni, altri punti di vista, una sorta di continuo work in progress.
Approfitto di questo spazio anche per fare un piccolo resoconto su quello che si è visto quest’anno a Venezia; un festival che per scelta o forse per obbligo ha deciso di essere assolutamente anticommerciale, con poche opere che rimarranno, qualche regista importante che ormai mostra di riciclare sempre lo stesso materiale come Terry Gilliam o il nostro Gianni Amelio, qualche giovane che si farà, soprattutto per quello che si è visto nelle sezioni collaterali.
Lascio qualche titolo a ricordo di quello che ho visto sperando in una distribuzione o qualche programmazione nei vari cineclub: “Tom a la ferme” del ventiquattrenne Xavier Dolan, storia di un ragazzo che va al funerale del compagno nel cuore del Canada rurale; “Under the Skin” di Jonathan Glazer, fischiatissimo alle proiezioni, ma invece ipnotico e spiazzante con una strepitosa Scarlett Johansson, “Phiolmena” di Stephen Frears, divertente, con una sceneggiatura di ferro, troppo commerciale per farlo vincere, e infine pensiero speciale per “Die Andere Heimat” di Edgard Reitz quarto capitolo della saga che si svolge nell’immaginaria contea dell’Hunsruck; questa volta viene raccontata in quasi 4 ore intense ed emozionanti l’altra patria, quella che per obbligo, in cerca di una vita migliore si andava a scegliere nella Germania di metà 800.
Assolutamente da vedere senza spaventarsi della durata, del bianco e nero, dei sottotitoli; una visione che viene assolutamente ripagata.